Human. :||: Nature., track by track
Ci siamo: Human:||:Nature si presenta con rumori metallici, qualcosa batte su metallo a lunghi
intervalli regolari accompagnati da fiati di osso. Un intro lungo, senza dubbio, che in un crescendo
sfocia in percussioni tribali alquanto ossessive. E in maniera violenta ti getta nella quiete di una
composizione per archi e coro. Sappiamo l’obiettivo essere il trasmettere la nascita ed evoluzione
della musica, dalle percussioni a strumenti più elaborati, lasciando dalla introduzione un vago
ricordo di “2001: Odissea nello Spazio”.
Solo al termine di questa evoluzione entra in scena la voce di Floor, ma è una Floor insolita, dolce,
concentrata su acrobazie vocali con un accompagnamento estremamente delicato da voce maschile,
in cui ho avuto l’impressione di sentire Marko. 07:23 minuti di brano ad introdurre il disco e c’è già
una forte sperimentazione: è un brano complesso da cogliere (probabilmente anche oltre al primo ascolto) ed è solo vicino al finale che si inizia ad avvertire qualcosa di riconducibile ai Nightwish
Il brano che è dedicato alla figura di Eugene Shoemaker, il geologo con lo “sguardo al cielo”
pioniere della planetologia (e al momento unico uomo sepolto fuori dalla Terra, dato che le sue
ceneri furono portate sulla Luna), si apre con un suono cristallino alla tastiera offrendo
reminiscenze dai tempi di Imaginaerum, accompagnato ancora da sperimentazione vocale. Le voci
maschile e femminile si mescolano in maniera delicata sullo sfondo di un ritmo regolare dominato
da una combinazione di chitarra e tastiere. È un filo conduttore ripetitivo e trascinante che sfocia,
attorno al terzo minuto, a un parlato di voce bianca accompagnato da archi. Ed è qui che le
acrobazie vocali si volgono all’ impostazione lirica in qualcosa dal retrogusto Morriconiano. Ma
saranno poi le percussioni a dominare sul finale.
Riprendono le percussioni tribali, ed è nel battito regolare della grancassa che si innalza la voce di
Troy. È il suo pezzo, e questa volta è Floor a fare da backing vocalist. È un brano insolito per la
band, quasi cantautoriale, dominato da una voce maschile pulita supportata da chitarra acustica e
tastiere. Qualcuno potrebbe persino associarlo, ad esempio, a un brano di Ed Sheeran. Verso la
metà, con l’entrata in scena della chitarra elettrica, il brano diventa più incalzante e le influenze folk
ne escono rafforzate dalle pipes di Troy. La melodia che accompagna il verso “Join the harvest” è
trascinante, mette voglia di ballare, per poi acquietarsi su un fischiato estremamente bucolico.
L’atmosfera cambia, gli archi si sposano con le percussioni in una melodia con chiari riferimenti ad Hans Zimmer (potrebbe riportarvi alla memoria in alcuni punti la colonna sonora di Pirati dei Caraibi). La voce di Floor è pulita e preferisce tonalità alte, prima di un ritorno di Emppu in prima linea con riff violenti e una chitarra che inizierà a dominare la scena, alternandosi con suoni cristallini di tastiera. Gli effetti vocali sono ora “rumorosi” e meccanici, si sente nuovamente la aggressività che ha pervaso parte del brano Noise. Anche Kai scioglie le redini, accompagnato dalle tastiere sul finale. Per scatenarsi ai concerti è e sarà senza dubbio un buon pezzo.
In apertura il rumore sordo di un battito cardiaco regolare (che fantasia) che degenera in un utilizzo
quasi folk delle tastiere. La parte cantata è melodiosa, nella reprise Floor viene raggiunta dalla voce
di Troy in un brano estremamente catchy e movimentato. La ritmica cardiaca continua a pervadere
il brano, è possibile sentirla anche nel dettare il tempo a chitarra e cori. Un orecchio attento può
cogliere riferimenti uditivi a Stranger Things. Il finale sorprende: il gioco sulla contrapposizione vocale fra diverse tonalità è forte, ti si pianta in testa. Nel complesso è un brano piacevole da
ascoltare, entra in testa, sarà un buon singolo.
Il suono ovattato delle tastiere apre al brano più emotivamente dirompente dell’album. Una voce
angelica si accompagna da archi e cori in contrapposizione al timbro basso della grancassa trasmette
qualcosa di angosciante. Resta un brano dolce, delicato, il cui vero protagonista sembra essere
dall’inizio alla fine l’interplay fra voce e tastiere. Guadagna un ché di positivo e liberatorio
dall’ingresso di basso e chitarra, ma le lyrics ti entrano in testa e ti si piantano addosso già al primo
ascolto. Aspetterò con ansia i dettagli, le tastiere ossessive che accompagnano “We will remember
all the suffering” ti rimangono dentro.
Gli archi hanno un grattato angosciante. La batteria perde le inibizioni. È un brano senza dubbio
viscerale, aggressivo, aperto da una insolita combinazione voce + percussioni a cui gli archi si
aggiungono solo in un secondo momento. Si perde la musicalità della voce, tutto diventa quasi un
grido accompagnato dalla chitarra che ancora una volta è dirompente. Marko entra in scena e dà, in
accompagnamento, qualcosa di simile a quello che rimane in memoria da Romanticide e Weak
Fantasy. Gli acuti di Floor si fanno penetranti sul finale. È un brano incalzante, selvaggio, e le
percussioni richiedono tempo per scrollarsele di dosso.
Brano molto elettrico: un lento inizio di batteria in cui chitarra e basso dominano la scena. Marko ha
la voce principale, accompagnato da Floor in maniera corale, e il mix vocale sembra porsi
inizialmente come punto focale. Il brano è molto melodico, piacevole, sembra fare un po’ di fatica a
partire. Musicalmente è Emppu il protagonista, ha un notevole risalto, le tastiere restano per la
maggior parte del tempo in secondo piano e la tendenza a mischiare le voci rimane l’effetto
principale fino alla fine. Alla loro partenza gli archi diventano rapidamente imponenti, aggiungendo
un sapore nuovo all’intero brano.
La citazione Leonardiana apre a un viaggio, un viaggio da vivere e godersi a occhi e chiusi in cui farsi trascinare attorno al mondo, accompagnati da un’intera orchestra. È il tipo di opera di cui sarà impossibile smettere di coglierne sfumature, anche dopo innumerevoli ascolti. Nel complesso è qualcosa di diverso e non facile da approcciare, ma non inatteso: l’imprinting dato all’orchestra ha molto della band, molto di riconoscibile dalle versioni orchestrali di opere passate: in alcuni casi, soprattutto nei primi quattro brani si possono riconoscere familiari riferimenti sia al passato della band che ad altre influenze “classiche” e cinematografiche.Ciò contribuisce a mettere a proprio agio l’ascoltatore con suoni che possono risvegliare i ricordi, prima di stravolgerli con gli ultimi quattro.Ma il marchio compositivo di Tuomas è sempre lì, ad accompagnare l’ascoltatore.
I-Vista
Da un disco sulla voce ad uno prettamente musicale, con ancora la voce a fare da collegamento. La voce dell’attrice Geraldine James, accompagnata da archi, introduce all’opera ed è molto rilassante. L’evoluzione del brano è graduale, passando dalle basse (violoncello) alle alte frequenze (violino e viola), in cui la delicatezza dell’arpa e, sul finale, un coro, si insinuano come ospiti graditi. Una buona introduzione, molto pulita: se pensata per mettere a proprio agio l’ascoltatore è un ottimo brano.
II- The Blue
L’atmosfera cambia: la combinazione fra il violoncello e le percussioni ha un che di ansiogeno e continua a dominare sullo sfondo anche all’ingresso del coro. È il mare che ricorre spesso nelle composizioni di Tuomas, è tempestoso e volubile. Un bel brano, anch’esso volge su toni più alti ma mantenendo un ritmo incalzante. Ti trascina, ma mette a disagio. È solo sul finale che, dopo rintocchi di una campana, il tutto si calma lasciando spazio allo scrosciare del mare
III- The Green
La melodia torna rilassante, dolce, è il piano ormai a farla da padrone. Chiudendo gli occhi ti ritrovi improvvisamente all’aperto, in una bella giornata di sole, e anche quando gli archi diventano predominanti il ritmo si mantiene regolare e rassicurante. E’ un mondo pacifico, una colonna sonora che sembra avviarti ad un finale, sebbene l’opera non sia neanche a metà.
IV- Moors
Ecco il ritorno delle influenze folk: sono i fiati a dominare la scena ora, una scena molto tranquilla e malinconica, che riporta in più occasioni ai tempi di The Islander. Ma non per molto. Sono le percussioni a dare un nuovo ritmo, accompagnando archi e cori in un nuovo ambiente, oppressivo e tormentato. Le atmosfere da Life and Times of Scrooge sono anch’esse presenti, come un marchio che lega il brano all’intimità del compositore
V- Aurorae
Due minuti. Due minuti che vi si pianteranno dentro. Disorientante dopo armonie così ricercate piombare in un mondo di fischi e suoni meccanici. No, non è più così, ora è l’arpa la protagonista. Sento cori. Percussioni. Archi. Tutto si sposa in un ritmo frenetico e incalzante. Due minuti senza respiro. Travolto da tutta l’orchestra.
VI- Quiet as the snow
È il momento di respirare di nuovo. E’ un sussurro indistinto a dare respiro, in apertura a un piano estremamente delicato. E’ un brano lento, in cui gli archi dominano la maggior parte della durata creando una stupenda atmosfera Vivaldiana. Sarà poi un coro dolcissimo ad arricchire il finale.
VII- Anthropocene
L’uomo entra in primo piano. Gli archi sono sovrastanti, hanno un ché di opprimente, molto regolari. La naturalezza delle melodie precedenti lascia spazio a sonorità industriose. La base ispirativa, la composizione Hurrita dedicata alla dea della fertilità Nikkal, permea l’intero componimento, guadagnando tuttavia un tocco di modernità miscelandosi con toni epici rievocanti opere di David Arnold.
VIII- Ad Astra
Cori, piano e arpa preferiscono tonalità alte, le sonorità sono cristalline ed epiche. Senza neanche volerlo lo sguardo andrà verso l’alto. Archi e flauti accompagnano una voce, è di nuovo l’attrice inglese a portarci in viaggio. Nel suo discorso rientriamo tutti, ognuno di noi, ognuno su questo granello di polvere, in una efficace ripresa del tema di The Greatest Show on Earth. Voci umane vive e pulsanti, è di nuovo la voce la protagonista. Il mix di archi e cori è inebriante, epico, forse il finale di cui l’album precedente aveva realmente bisogno.
MUSIC
Here we are: Human.:||:Nature unfolds itself with metallic sounds, something beating on metal with long and regular intervals and then bone woodwinds. Surely a long intro, a crescendo ending with tribal percussions sounding almost obsessive. From this violence we jump into a quiet composition made of a choir and strings. We know that the goal of this song was to depict the birth of music, from percussions to more complex instruments: this intro gives us a vague taste of “2001: A space odyssey”. At the end of this evolution, Floor voice gets in, but it’s an unusual Floor, sweet and focused on vocal acrobatics, with a delicate male voice as a back vocal, I guess it was Marko. 07.30 minutes of song serve as an introduction for an album which already speaks about something experimental: it’s a complex song to grasp (maybe even after several listening) and we can get a sense of ‘Nightwish’ just towards the end of the track.
SHOEMAKER
The song is dedicated to Eugene Shoemaker, the geologist ‘’looking up to the sky”, who was a planet science pioneer (and the only man buried outside the earth, since his ashes were brought to the moon). It opens with sharp keyboards, offering us some reminiscences of Imaginaerum. Once again, the voice is the core of experimenting. Both masculine and feminine voice blend together in a delicate way, serving as a background of a regular rhythm made up of guitar and keyboards.
The leit-motive is repetitive and catchy, and plunges into a white voice speaking (approximately at minute 03.00), accompanied by strings. Here, the vocal acrobatics stir towards an opera like singing, that reminds of Ennio Morricone.
Percussions dominate the end of the song.
HARVEST
Tribal percussions are on again, and it’s in the regular beat of the bass drum that Troy’s voice rises up. It’s his track and Floor is the backing voice. It’s an unusual track for the band, almost raw songwriting alike, where a clean male voice dominates the scene, supported by an acoustic guitar and keys. Someone may compare it to a song by Ed Sheeran, for example. About halfway of the track an electric guitar comes in and the track becomes catchier and the folk influence comes out stronger thanks to Troy’s pipes. The melody supporting the verse
“Join the harvest” is so catchy you might want to dance, until it calms down on an extremely bucolic whistle.
PAN
The atmosphere changes, the strings move on with percussions on a melody with Hans Zimmer’s reminiscences (in some moments it might remind you to the Pirates of the Caribbeans soundtrack). Floor’s voice is clear and comes in high tones, before an Emppu’s comeback in first row with violent riffs and a guitar that will start dominating the scene. Vocal effects are “noisy” and mechanical, you can hear again the same rage of some parts in Noise. Kai too unties his knots, accompanied by the keys on the ending. It is and will be the perfect track to get crazy during a gig
HOW’S THE HEART?
The song starts with the dead sound of a regular heartbeat
(how original)
which goes off the rails in an almost folk use of the keys.
The singing part is melodic,
In the reprise, Floor is joined by Troy’s
voice in an extremely catchy and enlivened track.
The beating heart keeps on the whole track and
gives rhythm to guitar and choirs.
A careful
listener might catch some
reminescences to Stranger Things’ theme
The ending is a surprise: the juxtaposition of vocals with
different ranges is strong, and it stucks into your head.
Overall, is a nice track to listen to, being quite catchy
is a good choice for a single.
PROCESSION
The padded sound of keyboards is the beginning of the
most emotionally disruptive track of the album.
An angelic voice accompanied by strings and choirs
in contradiction to the low beat of the bass drum
instills something distressing.
It is still a soft and delicate track,
and the main character is the interplay
between voice and keys from the beginning to the end.
You can feel a positive and liberating breeze
when bass and guitar come in,
but lyrics get stuck in your mind since the very first listening.
I am waiting anxiously the details,
the obsessive keys that lead
“We will remember all the suffering”
are unforgettable.
TRIBAL
The strings are grieving anxiously. Drums loses its inhibitions. It is an undoubtely visceral, aggressive track, opened by an unusual combination between voice and drums, where strings join in only later. The musicality in the voice gets lost and everything becomes almost a scream, accompanied by the guitar, which is once again explosive. Marko comes in as accompaniment and gives that something close to Romanticide and Weak Fantasy. Floor’s high pitch are piercing on the ending. It’s a catchy and wild track, and it might be difficult to get it out of your head and body
ENDLESSNESS
This is a very electric track: a slow beginning scanned by the drums, where guitar and bass dominate the scene. Marko is the main voice, accompanied by Floor as a choir. The vocal mix seems to be the focus at first. It’s a very melodic and enjoyable track, but it seems it struggles to pursue. Musically the main character is Emppu, the keys are on the background for the most of the time, and the tendency to mix the voice is still the main effect until the end. At their beginning, strings become rapidly imposing, adding a new taste to the track
ALL THE WORKS OF NATURE WHICH ADORN THE WORLD
The Da Vinci quote opens to a journey: a journey to be lived and enjoyed with closed eyes, travelling around the world, led by a whole orchestra. It is the kind of opera in which it will be impossible to cease discovering all the nuances, even after several listening. Overall, it is something different and not easy to approach, yet not unexpected: the imprinting given to the orchestra takes a lot from the band, it is something very close to the orchestral versions of the previous Nightwish’s works: especially in the first four movements, there are some parts that remind of familiar references, both of the past of the band, and of other “classic” or cinematic influences. This helps making the listener comfortable through sounds that might awake some memories. Tuomas’ songwriting touch is still there to lead the listener.
I- Vista
From a disc focused on human voice to a disc with music only, but still with the voice to connect everything. Actress Geraldine James’ voice, accompanied by strings, introduces the work and it is very relaxing. The evolution of the track comes step by step, from low (cello) to high frequencies (violin and viola) where the softness of the harp and the choir, towards the end, slither as welcome guests. A good introduction, very clean: if it has been thought to make the listener comfortable, it’s a very good track for the purpose.
II- The Blue
The atmosphere changes: the combination between cello and percussions has something anxious and keeps dominating on the background also at the beginning of the choir. It’s the sea that very often recalls in Tuomas’ works, it’s stormy and unstable. An enjoyable track, this one too is based on higher tunes, yet keeping a catchy rhythm. It drags you, but it’s quite uncomfortable. It’s only in the end that, after the tolls of a bell, everything rests leaving space to the sea pouring down.
III- The Green
The melody is once again relaxing and soft, it’s the piano the main instrument here. If you close your eyes, you find yourself on the outside, in a sunny day, and when the strings become the protagonists the rhythm becomes regular and reassuring. It’s a pacific world, like a soundtrack that seems to lead towards an ending, yet we know we are only halfway through
IV- Moors
Folks influences are back: woodwinds are dominating the scene now, a very quiet and melancholic scene, which takes us back to the times of The Islander. But it doesn’t last much. The percussions give the rhythm, leading strings and choirs in a new environment, more oppressive and tormented. Atmospheres from “The Life and Times of Scrooge” are also present, like a brand that bounds the track with the songwriter’s intimacy
V-Aurorae
Two minutes. Two minutes that will be stuck inside. It’s kind of confusing after harmonies so rare to arrive in a world of whistles and mechanic sounds. No, it’s not like this anymore, now the harp is the leader. I hear choirs, percussions, strings. Everything finds its place in a frenetic and catchy rhythm. Two breathless minutes: I am devastated by the whole orchestra
VI-Quiet as the snow
It’s time to start breathing again. It’s an undefined whisper that gives us air to breathe. In the opening the piano is extremely delicate. It’s a slow track, where strings dominate the major part of the track, creating a wonderful Vivaldi-like atmosphere. There will be a very soft choir then to enrich the finale.
VII- Anthropocene
Here comes the man. Strings are overwhelming, they have something oppressing, very regular. The naturalness of the previous melodies leave space to industrious sounds. The inspirational basis, the Hurrian composition dedicated to Nikkal, goddess of fertility permeates the whole track, earning a touch of modernity by mixing with epic tunes recalling David Arnold’s works.
VIII- Ad Astra
Choirs, piano and harp prefer high tunes, the sounds are crystal clear and epic. Involuntarily your sight will go upwards Strings and woodwinds are matching with a voice, it’s once again the British actress leading our travel with her. Her speech is about all of us, each one of us, each one on this dust grain, in an efficient reprise of The Greatesst Show On Earth theme. Human voices, alive and pulsing, it’s again the voice of the lead character. The mix of strings and choirs is intoxicating, epic and maybe the finale that the previous album really needed